Nove persone con sfondo migratorio famigliare hanno trovato una morte violenta il 19 febbraio a Hanau. A sparargli, ferendo in parte gravemente anche numerose altre persone, è stato il razzista 43enne Tobias Rathjen. Questa serie di omicidi notturni, per numero di vittime, occupa il secondo posto nella storia degli attacchi terroristici di destra della Repubblica Federale Tedesca. Soltanto l’attacco dinamitardo all’Oktoberfest di München nel 1980, come crimine individuale di terrorismo di destra con 13 morti e oltre 200 feriti, supera nel numero delle persone direttamente colpite la strage di Hanau del febbraio 2020.
Il 19 febbraio, intorno alle 22, l’omicida è entrato in due ristoranti nella strada Am Heumarkt al centro di Hanau, sparando a tre uomini: Kaloyan Velkov, 33 anni, cliente del bar „La Votre“, Sedat Gürbüz, 30 anni, proprietario della “Shisa-Lounge Midnight“, e il 34enne Fatih Saraçoğlu, colpito in strada. Spostatosi poi nel vicino quartiere di Kesselstadt, Rathjen, nel parcheggio di fronte a un grattacielo di Kurt-Schumacher-Platz ha sparato il 22enne Vili Viorel Păun che con la sua auto lo aveva seguito nel vano tentativo di fermarlo e di chiamare la polizia. Successivamente l’assassino entrò nell’“Arena Bar“, un ristorante con chiosco annesso al pianterreno del grattacielo. Nel chiosco ha ucciso il muratore Gökhan Gültekin, 37 anni, la 35enne madre single Mercedes Kierpacz e l’installatore di 23 anni Ferhat Unvar. Nella zona bar ha poi ucciso il 21enne Said Nesar Hashemi e il 22enne Hamza Kurtović, e ferito in parte gravemente altri visitatori del bar. Dopo questo massacro, Rathjen è andato nella vicina casa dei suoi genitori, dove ha ucciso prima sua madre e poi se stesso.
Come il fascista norvegse Anders Behring Breivik nei suoi attentati a Oslo e sull’isola di Utøya di luglio 2011, come il fascista australiano Brenton Tarrant nei suoi attentati a due moschee neozelandesi a Christchurch di marzo 2019, anche l’omicida di Hanau ha lasciato un manifesto. Sotto il titolo “messaggio all’intero popolo tedesco” contiene espressioni razziste, antisemite, islamofobiche e misogine. Alcuni giorni prima di compiere gli omicidi ha pubblicato un video su YouTube con simili contenuti. Le sue affermazioni, da un lato, sono zeppe di vari elementi di teorie cospirative, dall’altro indicano significativi disturbi della personalità dell’omicida.
Sono passati oltre 100 giorni da quest’attacco terroristico, e già i morti sembrano dimenticati all’ombra della pandemia Corona. Ma i parenti, gli amici e i conoscenti delle vittime non possono e non vogliono dimenticare il sanguinoso crimine razzista. Chiedono luce sulla storia personale dell’omicida e sulla dinamica del crimine, chiedono solidarietà per i famigliari, parenti e amici colpiti dal massacro e in particolare la individuazione e la lotta a quelle ideologie e a quegli atteggiamenti che hanno portato al massacro. Con questo scopo si organizzano nella “Initiative 19. Februar Hanau“.
All’inizio di giugno, nello spazio commemorativo di Hanau, Heiko Koch ha intervistato Seda Ardal e Hagen Kopp dell’“Initiative 19. Februar Hanau“ sull’attuale situazione del posto.
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Heiko Koch: Ciao. Voi due fate parte dell’“Initiative 19. Februar Hanau“. Potete presentarvi brevemente?
Seda Ardal: Mi chiamo Seda. Ho 30 anni e sono nato e cresciuto qui a Hanau. Ora vivo nella vicina Offenbach. Sono impegnato sin dall’inizio nell’iniziativa.
Hagen Kopp: Mi chiamo Hagen, vengo anch’io da Hanau. Sono politicamente attivo qui a Hanau da molto tempo. Soprattutto a sostegno dei rifugiati e in progetti antirazzisti. Mi impegno anche in un’iniziativa chiamata „Solidarietà anziché divisione“, un’alleanza di sindacalisti, associazioni di migranti e gruppi antirazzisti. È un ambiente che ha saputo reagire in un tempo relativamente breve ai fatti del 19 febbraio, che ci aveva lasciati tutti sorpresi e scioccati.
Heiko: Posso chiederti come avete vissuto personalmente quella notte del 19 febbraio?
Seda: Vabbene. Dunque il 19 febbraio sono andato a letto abbastanza presto. All’epoca avevo un lavoro molto stressante. Quando mi sono svegliato giovedì mattina, ho visto sul cellulare molte chiamate perse dei miei amici e della mia famiglia. La prima cosa che ho letto è stata „Sparatoria a Hanau“. Non c’era scritto nulla di un nazista o di un attacco terroristico. Veniva presentata come una semplice sparatoria. La prima cosa che ho fatto è stata chiamare mio padre. Mi ha detto che uno dei suoi migliori amici aveva perso suo figlio nell’attacco: Gökhan Gültekin. Sapevo che mio fratello era molto amico di lui e l’ho chiamato. Beh, prima non avevo mai visto piangere mio fratello, e ora… . Questa telefonata mi ha veramente scosso. A me e a tutta la mia famiglia. Le settimane successive stavo abbastanza fuori fase. Ci sono volute parecchie settimane prima di riprendermi e poter pensare più lucidamente.
Hagen: Quel mercoledì sera del 19 febbraio avevamo un incontro con „Solidarietà anziché divisione“, e dopo siamo andati, cinque di noi, a cenare subito qui girato l’angolo in un ristorante marocchino. Verso le nove e mezza ci siamo salutati. Poco dopo le dieci, un amico che è attivo in un’associazione di migranti e che probabilmente è stato uno dei primi a avere informazioni, ci ha contattato per chiedere se eravamo ancora nelle vicinanze. Ci eravamo già lasciati, e lui non sapeva precisamente dove fossimo. Eravamo già in macchina, non più vicini. Lui ci riferiva che in zona ci sarebbero stati, presumibilmente, sette morti. L’unico pensiero mio era: ma che sta succedendo qua? Automaticamente gli ho chiesto „ma erano nazisti o cosa …?” Lui ha risposto “no“, secondo quello che sapeva dagli amici si sarebbe trattato di un tipo singolo che aveva sparato all’impazzata. …. Non sarebbe nemmeno stato mascherato o incappucciato. Secondo i suoi amici, non era per niente chiaro quello che era successo lì. Allora abbiamo seguito tutte le notizie dei tg della notte e della mattina dopo. Poi io sono andato lì presto. In realtà stavo per andare a Malta, nell’ambito di uno dei nostri progetti antirazzisti, avevo un volo la mattina presto. Stavo già sulla strada per l’aeroporto, quando le dimensioni dell’attacco si iniziavano a capire, allora ho subito rinunciato a partire. Sono tornato indietro, e poi alle 10 di mattina abbiamo iniziato le riunioni di crisi nella nostro casa occupata della Metzgerstrasse. Io delle vittime non conoscevo nessuno personalmente, ma molta gente della Metzgerstrasse e della Community dei migranti conoscevano i ragazzi assassinati.
Heiko: Cos’è la Metzgerstrasse
Hagen: Metzgerstrasse è una casa occupata a Hanau. È il punto d’incontro della sinistra radicale da oltre 30 anni. Lì teniamo anche il nostro spazio di consulenza per i rifugiati. Lì nella Metzgerstrasse e nella sede del sindacato DGB abbiamo allora fatto riunioni per tutto il giorno, e anche i giorni seguenti, cercando di gestire la situazione in qualche modo.
Devo dire che, con tutto quello che avevamo fatto per tanti tanti anni — specialmente nell’ambito dell’ Alarm Phone, che continuamente ci confrontava con la morte in mare, con gli affogamenti — devo dire dunque che quello che è successo qui, così vicino, così palese, mi ha davvero stravolto. Mi sono sentito, e mi sento ancora oggi, parecchio colpito da questa vicenda, ancora mi sto dicendo: “Non può essere vero. Deve essere un sogno sbagliato.“ Insomma era veramente … che fosse stata colpita proprio la nostra piccola città di Hanau, con la sua lunga storia di migrazione, non mi voleva proprio entrare in testa.
Heiko: Sentendovi parlare ho l’impressione che voi, indirettamente, siate ancora traumatizzati da questi fatti. Vi servite di consulenze psicologiche?
Seda: Allora, io già prima dell’attentato ero in terapia psicologica, e ci vado tuttora. Ma gli argomenti centrali della mia terapia sono cambiati dopo l’attentato. E ho bisogno di più appuntamenti, da quindicinali sono diventati settimanali. Per avere un aiuto valido.
Hagen: Nel mio piccolo gruppo, attraverso il nostro lavoro in „Alarm Phone“ veniamo confrontati con la morte in mare. Ovviamente lì, per telefono, è tutto più distante, ma comunque sempre vicino. Stiamo spesso all’estero, in molti paesi, a contatto con i parenti e famigliari dei rifugiati naufragati. Una nostra amica molto impegnata va spesso alle manifestazioni commemorative in Grecia. E noi stessi a febbraio eravamo presenti a un evento commemorativo in Marocco. Questo è il nostro background di esperienze, che ci sono servite qui in questa situazione. Dunque … questo modo, questi tentativi di affrontare l’inconcepibile, la morte … su questo piano abbiamo delle esperienze importanti che ci sono tornate utili.
E la cosa buona è che qui da noi a Hanau … tra i network politici e i giri di amici abbiamo anche persone preparate nell’affrontare il trauma, dove possiamo andare, non per via formale nel senso di una terapia ma per avere consigli amichevoli. Con loro possiamo parlare quando abbiamo domande, problemi o quando … beh, questo è il mio modo di affrontare la cosa. Come già detto, lo sgomento era fortissimo. Svegliarsi e pensare ogni mattina se è davvero successo questo. Dunque, una cosa del genere, con tanta intensità, non l’avevo mai provata…
Heiko: Cosa è successo nei primi giorni dopo l’attacco? Con le autorità, la polizia, i media?
Hagen: La prima sera, il 20 febbraio, c’è già stata una manifestazione di cordoglio. Erano presenti il presidente della repubblica Steinmeier, il primo ministro della regione Hessen, Bouffier, vari politici, il sindaco di Hanau ecc. Temevamo una messa in scena molto formale, vuota, senza contenuti. E infatti è stato così, un evento piuttosto imbarazzante. Ma si è anche visto il senso di impotenza degli stessi politici. Loro stessi non sapevano come affrontare la cosa, e so è vist la loro paura di ricevere attacchi da parte dei parenti.
Avevamo deciso di non disturbare la messa in scena dei politici, anche se era presente il primo ministro della regione Hessen, Bouffier. In un certo senso, la sua presenza, sentirlo parlare in un certo senso era una beffa per tutto l’impegno antifasciste nel Hessen. Esiste un precedente nella regione Hessen: gli atti tenuti segreti dell’omicidio di Halit Yozgat a Kassel da parte della NSU nel 2006. E l’insabbiamento degli intrecci con l’ufficiale della Tutela costituzionale Andreas Temme. Questo era Bouffier. Bouffier, da ministro, ha coperto tutti gli intrecci tra i servizi segreti e gli ambienti terroristici di destra. Vedere uno del genere piangere lacrime di coccodrillo qui a Hanau, era difficile da sopportare.
Abbiamo capito subito che dovevamo fare qualcosa di nostro per rendere giustizia alla situazione. Allora abbiamo organizzato per il giorno successivo, venerdì, una manifestazione proprio qui a Heumarkt. Dove parenti e amici potevano parlare, dove venivano elencati i nomi delle vittime: “say their names“, ci è venuto in mente subito. Tematizzarlo, dire che si trattava di un attacco con motivi razziali. Che il massacro doveva colpire non tutti, ma precisamente i migranti. Che queste persone sono state uccise perché non erano abbastanza „tedesche“, non abbastanza „bianche“. Volevamo mettere in primo piano questo.
Era molto importante per noi creare con questo un luogo indipendente e autogestito. Fare qualcosa di non organizzato dal comune, dai ministeri, dall’ufficiale consulente per le vittime. Questo per noi a Hanau era molto importante. E era il primo passo per fare qualcosa insieme agli amici e ai parenti delle vittime. Queste attività poi si sono allargate, intensificate. Qui a Heumarkt abbiamo organizzata la prima conferenza stampa, la prima manifestazione, ci siamo messi in cammino con diverse centinaia di persone da qui a Kesselstadt, il secondo luogo della strage, per tenere lì una seconda conferenza stampa. E lì a Kesselstadt, tutti insieme abbiamo per la prima volta pronunciato i nomi delle persone conosciute in quel momento come vittime. Lì ha avuto luogo il primo collettivo “Say-their-names“.
Heiko: Questi sono stati i vostri primi passi, nelle prime ore, nei primi giorni del vostro impegno?
Hagen: Esatto. E poi è seguito subito il passo successivo, il risultato degli incontri permanenti nella casa occupata in Metzgerstrasse e la sede del sindacato DGB, che si erano svolti in tanti diversi raggruppamenti. Si era deciso: okay, faremo qualcosa di nostro questo venerdì, e per sabato indiremo subito una manifestazione nazionale. Era chiaro che sarebbe stato impossibile organizzare una manifestazione di massa in così poco tempo. Però volevamo reagire agli eventi con una manifestazione sabato. Alla fine l’abbiamo messa in piedi: il percorso, gli altoparlanti sulle macchine, il palcoscenico e tutto il resto. Circa 6.000 persone hanno poi partecipato sul Freiheitsplatz a questa manifestazione di apertura.
In questi due giorni si e rivelato elemento molto importante il fatto che noi a Hanau grazie alle nostre iniziative antirazziste negli anni avevamo messo su una buona rete di contatti in tutta le Germania. Negli ultimi tre anni facevamo parte anche dei gruppi che organizzavano „Welcome United“, con l’impegno di portare in piazza a Berlin, Hamburg e poi Dresden tutti i vari movimenti Antifa. In quest’ambito sono nati anche stretti contatti con il gruppo „Sciogliere la rete NSU“. Tutto col focus sulla violenza razzista, contro gli attacchi razzisti. Si faceva riferimento soprattutto alla situazione nella Germania est, a Dresden, a Chemnitz, cioè i vari luoghi in cui si erano ripetuti attacchi violenti e persino pogrom negli ultimi due o tre anni. Tutti questi contatti in quei giorni ci sono serviti come contesto in cui collocare quello che era successo a Hanau, e infatti molte persone impegnate per esempio a Köln, Berlin, Hamburg nel gruppo „Sciogliere la rete NSU“ sono venute a Hanau a darci una mano. E continuano fino a oggi. Riceviamo molto supporto per il lavoro in background, cioè il sito Web, le donazioni, tutto il networking. Questo supporto esterno nell’organizzazione e nei contenuti è stato molto importante per noi e per il nostro lavoro, quando ci sentivamo un po’ bloccati nel nostro sgomento e nei tentativi di mettere in piedi qualcosa.
Heiko: Stai parlando di strutture politiche già esistenti. Ma probabilmente è diverso per le famiglie colpite, che non facevano parte di queste strutture sociali. È un gruppo molto numeroso: i familiari dei nove assassinati, gli amici, i conoscenti, i sopravvissuti, i testimoni, ecc. Come si organizzano questi gruppi di persone? In vari ambienti privati, sociali, linguistici, culturali o nazionali? Cosa succede lì?
Seda: Con questo spazio qui diventa molto facile per tutti riunirsi. Come si organizzano i famigliari in privato? Hagen, puoi dirci tu qualcosa?
Hagen: Non è facile spiegare questo quadro complesso. I nove assassinati provengono da contesti molto diversi. Quando si arrivava alla domanda: „Cosa dicono i parenti“, abbiamo sempre detto: „Andiamo piano, non possiamo parlare di “i parenti“. Ci sono nove vittime, poi i feriti, i sopravvissuti, i loro parenti, che sono tutti diversi tra loro quanto le diverse situazioni a Hanau. E non si può parlare di “un ambiente”.
A noi, i contatti diretti sono stati forniti da un lato dall’associazione culturale curda, perché tra gli interessati ci sono persone con cui collaboriamo da molto tempo nell’alleanza „Solidarietà anziché divisione“. Dall’altra parte attraverso il centro giovanile, il JuZ di Kesselstadt. Gli amici che hanno avuto rapporti molto stretti con cinque dei giovani assassinati lavorano al JuZ da circa 20 anni. Li conoscevano e avevano visti gli sviluppi nel JuZ negli ultimi anni. Da tutto ciò si sono creati presto i contatti diretti.
Direi che erano molto diversi i modi e i luoghi in cui quelle persone si movevano e si incontravano. Quindi è stata positiva quella prima manifestazione, con quei tentativi di incontro. Poi è nata l’idea che c’era bisogno di un punto d’incontro, per rendere possibile prima di tutto l’incontro sociale e lo scambio. E così – di questo parleremo dopo – qui si è formato un luogo dove famiglie e parenti delle vittime sono sempre presenti e danno una mano a organizzare e sviluppare insieme questo nuovo punto d’incontro.
Poi è importante anche capire che poco dopo gli omicidi è iniziata la situazione pazzesca del Corona, che ha limitato o impedito qualsiasi incontro. Il JuZ è stato chiuso relativamente presto, prima limitato nelle attività e poi chiuso completamente. Un amico che lavorava lì parla di „catastrofe nelle catastrofe“. Dopo il massacro, quello era stato il posto più importante, per molti parenti e amici, per riunirsi e scambiarsi le idee. Molte famiglie sono quindi rimaste doppiamente disturbate. Quali possibilità c’erano ancora? Allora hanno cercato nuovi modi, nuovi spazi per incontrarsi. In questo processo poi sono usciti fuori sempre più contatti. Con il risultato che abbiamo creato questo posto molto rapidamente.
Heiko: Quando è stato?
Hagen: Circa una settimana dopo il massacro era chiaro che avevamo bisogno di un nuovo posto. Un posto il più possibile vicino a una delle scene del crimine. Il 29 febbraio, 10 giorni dopo il fatto, abbiamo avuto il primo incontro con l’agenzia per questi locali qui, e il 20 marzo ci hanno dato la chiave.
Heiko: Allora nell’intervista siamo a un buon punto per descrivere un po’ meglio questo vostro locale.
Seda: Abbiamo 140 splendidi metri quadrati, proprio sul Heumarkt. Siamo di fronte, in diagonale, al bar “Shisa-Lounge Midnight“, uno dei luoghi della strage. Si entra in una stanza molto grande e luminosa con una grande vetrina sul lato strada. In un angolo del locale abbiamo allestito un’area di commemorazione. Ma siamo ancora in un continuo “work in progress”, in costante dialogo con i parenti su come immaginano loro la commemorazione e come vorrebbero vedere quest’area. Ad esempio se vorrebbero una tenda, in modo da avere più privacy, o se quest’area dovrebbe rimanere aperta. Ci sono le foto delle nove vittime appese alle pareti. E c’è un piccolo spazio con sedie, fiori e candele. Spesso quest’area rimane vuota. Cioè non ci sediamo lì, ad esempio per prendere un caffè o discutere. Trattiamo quest’area con rispetto, usando gli altri posti a sedere nel locale. Ci sono diversi tavoli dove puoi sederti, fare interviste, lavorare su un laptop, ecc. Poi abbiamo un grande divano e una bella grande area salotto dove le persone possono parlare, discutere. Per noi è importante avere la possibilità di diverse conversazioni o dialoghi contemporaneamente. Per questo ci sono le varie zone di seduta. In fondo, separato dallo spazio aperto, abbiamo poi un ufficio, bagni e una grande cucina. Una cucina che funziona giorno e notte.
Il locale in poco tempo è diventato uno spazio molto vivace. Per alcuni parenti, questo è quasi come il loro salotto. Vengono a fare colazione la mattina, poi vanno al cimitero, fanno le faccende quotidiane e poi tornano la sera.
Heiko: E qui arriviamo alla questione degli orari di apertura del vostro spazio …
Seda: Praticamente è aperto sempre. Sette giorni alla settimana. Uno di noi è qui, al più tardi, sin dalle dieci del mattino. E, visti gli sviluppi qui nelle ultime settimane, non si esce prima delle 23:00. Sono parecchie ore. Ma è anche bello essere qui. Stiamo qui volentieri.
Heiko: La posizione del negozio sul Heumarkt è molto centrale per Hanau. Aggiungiamo la vicinanza a una delle scene del crimine: da qui quindi si vede l’angolo della strada in cui è avvenuto il primo attacco. Avete cercato apposto questo luogo qui o avete trovato per caso questo ex negozio?
Hagen: Non possiamo dire per caso. Abbiamo pensato che il centro città e la vicinanza al luogo della strage sarebbero ideali per un punto d’incontro. Anche perché vicino al secondo luogo della strage, nel quartiere Kesselstadt, esiste già il centro sociale JuZ. E nel centro città non c’erano altri spazio che avremmo potuto usare come punto d’incontro. Quindi abbiamo cercato qui nelle vicinanze, e trovare questo negozio vuoto non è stato un caso.
Vorrei aggiungere qualcosa sul periodo del Corona. Il 20 marzo ci hanno dato la chiave dei locali. E abbiamo avuto la fortuna di poter sistemare la grande sala di ingresso in poco tempo e con mezzi abbastanza semplici per essere subito utilizzabile per le riunioni. Cioè, seconde le regole della regione Hessen nel periodo del Corona potevamo riunirci inizialmente in cinque persone, poi solo in due per colloqui individuali. La vera ristrutturazione l’abbiamo iniziata prima nelle stanze in fondo, poi qui davanti. Durante la ristrutturazione, praticamente nel cantiere, potevamo già dare consulenze. Questo è stato molto importante, perché tutte le autorità ufficiali avevano già ridotto i servizi di consulenza a telefonate e incontri virtuali. Non c’era un posto ufficiale a Hanau in cui le persone colpite potevano parlare con qualcuno faccia a faccia. Questo praticamente era possibile solo qui. E allora molti parenti e molte persone interessate a marzo sono venute qui. Anche molti vicini del quartiere passavano qui al nostro punto di incontro. Erano felicissimi di veder nascere qui un posto del genere. Molti avevano assistito agli eventi della notte, come testimoni oculari erano rimasti colpiti della situazione. Erano molto contenti di trovare qui un posto per confrontarsi.
Questo vostro locale, inaugurato il 5 maggio, oggi si presenta già ben radicato e ancorato al territorio, ma la sua pre-storia inizia alla fine di marzo. Quando le persone, nel pieno delle chiusure per pandemia Corona, potevano venire qui e parlare, ricevere consulenza. Questa parte della storia è stata molto importante per lo sviluppo del posto.
Heiko: Radicato, come dovrei capire questa parola?
Hagen: Il vicinato come fattore fondamentale. Allora, siamo qui in Krämerstrasse, all’angolo di Heumarkt, proprio sul luogo della strage. E la gente del vicinato si è subito avvicinata a noi per chiedere: „Cosa state facendo qui?“ Le reazioni sono state: „Fantastico! Ci voleva un posto del genere“. E hanno raccontato le loro storie personali. Come l’avevano vissuto, in modo più o meno intenso. C’erano persone che avevano visto qualcosa a distanza ma anche quelle che si erano trovate faccia a faccia con l’assassino. E quella gente ha subito dato fiducia al nostro locale. Il locale è stato accolto, accettato e utilizzato dal quartiere — è radicato nel quartiere. Di pari passo è andato l’avvicinamento dei parenti e delle famiglie delle vittime di Hanau e Kesselstadt. Sono venuti qui e hanno fatto del locale il loro salotto, il loro punto d’incontro, anche tra parenti. Hanno capito presto che qui era molto più facile parlare con persone che avevano vissuto le stesse cose, che si trovano in una situazione simile. Che qui non c’è bisogno di spiegarsi. Che qui possano discutere e mettersi d’accordo con altre persone coinvolte. Hanno scelto di farlo qui, perché qui tutto questo è possibile. Il locale ha gettato radici nelle famiglie, tra i parenti e gli amici degli assassinati.
Heiko: Guardando la vostra bacheca qui, vedo molti appunti come „incontro“, „assemblea“, „stampa“ ecc. Come vi organizzate?
Seda: Una volta alla settimana abbiamo un’assemblea con tutti i membri dell’iniziativa. Partecipano, in videoconferenza, anche persone di Hamburg, Berlin, Frankfurt e Offenbach ….Ci siamo divisi in diversi gruppi di lavoro: abbiamo un gruppo stampa, un gruppo di ricerca, ecc. Molte cose si fanno virtualmente per e‑mail e gruppi di chat. In questo modo organizziamo i nostri piani settimanali, chi si occupa di quali compiti, prendiamo i nostri appuntamenti, ecc. Naturalmente c’è una bacheca e delle lavagne, sulle quali cerchiamo di mantenere la visione d’insieme
Heiko: Avete fondato un’associazione?
Hagen: Ci siamo costituiti come un’iniziativa indipendente e aperta e vogliamo mantenerla in questo modo. Per prendere in affitto il locale ci siamo agganciati a un’associazione senza scopo di lucro gestita da amici che se ne occupano per e con noi. E per amministrare le donazioni alla nostra iniziativa abbiamo il supporto di un’associazione di Köln. In questo modo siamo riusciti a organizzare le formalità istituzionali attraverso la nostra rete senza darci lo status di associazione. Vogliamo esistere come iniziativa indipendente che può svilupparsi in modo flessibile in base ai bisogni e alle necessità. Abbiamo concepito questo spazio sin dall’inizio come un processo, un lavoro in corso, senza partire da un concetto fisso. Vogliamo tenerci il futuro il più possibile aperto, vedere chi è disponibile a gestirlo insieme a noi. Deve funzionare tutto insieme alle persone attive qui sul territorio. E credo che siamo sulla buona strada, perché nelle settimane passate abbiamo avuto qui degli incontri veramente interessanti. I rappresentanti delle famiglie delle vittime erano presenti e hanno partecipato alle discussioni e alle decisioni. Ad esempio: come dovranno essere organizzati i giorni della commemorazione il 19 di ogni mese? Come svolgiamo le relazioni pubbliche? Come possiamo esercitare pressione politica per dare forza alle richieste di indagini approfondite e complete? Perché molte autorità sembrano usare la pandemia come scusa per non pubblicare nessun risultato delle indagini, neppure risultati parziali, semplicemente nulla. C’è una totale mancanza di trasparenza da parte delle autorità investigative. Dunque, come possiamo agire qui? Su questo punto abbiamo già fatto grandi passi avanti. Il 14 maggio siamo andati tutti a Wiesbaden per assistere alla seduta della commissione interna del parlamento regionale di Hessen e per costringere i politici al confronto. Oltre a questo abbiamo fatto, nelle ultime due settimane, molto lavoro mediatico. E ci ha quasi sorpreso vedere come i famigliari si sono esposti in prima persona, hanno formulato domande ma anche accuse e richieste. Certamente tutto questo è facilitato da quel processo di comunicazione, di riunioni, di scambi e riflessioni in cui ci troviamo.
Heiko: Potete dire ancora qualcosa su questa mancanza di trasparenza?
Hagen: Questa non trasparenza in realtà è evidente su tutti i livelli. Dopo le primissime informazioni rese note subito dopo il fatto, le autorità competenti hanno cominciato a tacere ogni altra informazione, sia sulla dinamica dei fatti sia su contesti e motivazioni. Non c’è stato informazione su nulla. Anche gli avvocati delle famiglie delle vittime hanno criticato questa politica di informazione. Fino a poco tempo fa non avevano accesso agli atti. Nemmeno per informazioni che non possono minimamente essere sospettate di mettere a repentaglio ulteriori indagini di polizia.
Ci sono varie domande sulla dinamica dei fatti che devono assolutamente essere chiarite. Sulle quali la polizia e l’Ufficio federale criminale BKA dovrebbero esprimersi. E invece fanno muro. Attraverso il nostro lavoro di pubbliche relazioni li stiamo più o meno costringendo a far uscire le informazioni. Ad esempio nel caso della dinamica dei fatti che hanno portato alla morte di Vili-Viorel Păun. Facendo subito delle ricerche, abbiamo scoperto che il giovane rumeno molto probabilmente è stato preso di mira qui sul primo luogo del crimine. E poi, evidentemente per fermare l’omicida, lo ha inseguito chiamando la polizia diverse volte senza riuscire a prendere la linea, poi è stato sorpreso e colpito dall’omicida sulla seconda scena della strage. Circostanze e fatti dunque che sicuramente non metterebbero a repentaglio le ulteriori indagini. La famiglia Păun voleva capire in cosa fosse stato coinvolto il loro figlio quella notte. Ora sanno di certo che ha perso la vita mentre cercava di fermare l’assassino, vedono il loro figlio come un eroe. Le autorità invece non dicono nulla su queste dinamiche nella notte della strage.
E poi cose di questo genere: nella documentazione mortuaria appare una nota che stabilisce il momento di morte di una vittima intorno alle ore 3 del mattino. L’attacco al “Arena-Bar” però è avvenuto poco dopo le 22:00. Cosa significa questo per i genitori? Devono supporre che il loro figlio abbia ancora lottato con la morte per diverse ore? A questo proposito nessuna informazione da parte delle autorità.
Oppure le autopsie delle vittime. Diversi genitori avevano chiesto di non fare autopsie, di non smembrare i corpi dei loro figli. I loro desideri non sono stati esauditi. Naturalmente ci possono essere buoni motivi per fare autopsie. Ma non c’è stato nessun tentativo di fornire ai genitori il perché, per cosa e per come di queste autopsie. Invece, ai genitori sono stati consegnati i corpi dei loro figli per lavarli in uno stato in cui le singole parti erano solo malamente ricomposte. Qui è avvenuta un’ulteriore traumatizzazione di persone costrette a vivere con un grande dolore. È da non credere con quanta ignoranza e insensibilità le autorità hanno trattato le famiglie delle vittime.
E ti faceva venire l’amaro in bocca vedere i politici alle manifestazioni ufficiali a Hanau fare grandi discorsi e promesse, tanto da sperare che qualcosa sarebbe cambiato. E dopo confrontarsi con una realtà in cui non c’era traccia di sensibilità, trasparenza e comunicazione. Ma questo è anche il punto in cui le famiglie hanno cominciato a reagire. Quando si sono concentrate sul fallimento delle autorità, criticandole e accusandole. Come è potuto avvenire il massacro? Che cosa è veramente successo nella notte della strage? E cosa è successo nelle settimane successive?
Heiko: Ho anche una domanda sull’omicida. Secondo i media lui aveva fatto diversi viaggi all’estero, tra l’altro per esercizi di tiro. Potete raccontarmi qualcosa di più?
Hagen: Anche questo punto fa parte della non trasparenza. Non ci sono informazioni da parte delle autorità sui suoi viaggi. Ora anche qui si potrebbe obiettare che tutte queste informazioni potrebbero dare indizi su complici, conoscenti e relazioni organizzative all’estero, e che le autorità investigative quindi mantengono coperte le informazioni. Però dopo più di tre mesi potrebbero rilasciare almeno qualche dato sullo stato dell’indagine. Ma questo non accade. Sono stati i giornalisti dello Spiegel a scoprire, in aprile, che due dei suoi viaggi esteri l’anno scorso portavano a un campo di addestramento di tiro da combattimento in Slovacchia. In questi campi, dei soldati d’élite offrono addestramenti nel cosiddetto Combat-Shooting. Un addestramento del genere, l’autore del massacro l’ha fatto alcuni mesi prima degli attacchi di Hanau. Evidentemente si è preparato a uccidere le persone in modo rapido e freddo, a muoversi tatticamente, a coprirsi le spalle e a sparare a chiunque si avvicinasse troppo. Nei prossimi mesi vedremo cosa annunceranno i rapporti ufficiali di indagine. Pensiamo però che sia quasi impossibile che i partecipanti a questo tipo di addestramento al tiro in quei campi siano sconosciuti alle autorità di sicurezza e ai servizi segreti.
Siamo convinti che questo sia un altro pezzo del mosaico del fallimento delle autorità prima del massacro. Un fallimento che si evidenzia in molte questioni: Perché l’omicida ha ottenuto un porto d’armi? Come ha potuto rinnovarlo più volte? Nel 2017 e nel 2018 ci sono stati episodi eclatanti di minacce razziste e armate a Hanau-Kesselstadt, proprio lì, molto vicino al luogo della strage e molto vicino alla residenza dell’omicida. Era stato già lui? In quali altri casi si sapeva di qualcuno qui a Kesselstadt che andava in giro con armi cariche, pronunciando minacce razziali? L’assassino di Hanau nel 2013 ha avuto il primo permesso di portare armi. Cose del genere vengono controllate ogni tre anni. L’ultima volta che ha ottenuto questo permesso è stato nel 2019. Riuscì persino a estendere la licenza a un porto d’armi europeo, cioè il diritto di portare le sue armi in giro per l’Europa, e questa licenza la ottenne esattamente tra le due sessioni di addestramento in Slovacchia. Per noi, questo solleva molte domande. Chi nelle autorità ha fallito? C’è di nuovo sistema in questo fallimento? Dico „di nuovo“ con riferimento alla rete neofascista NSU. Ancora una volta il sistema del non vedere, del tollerare. Perché a quest’uomo fu permesso di tenere le sue armi?
Poi bisogna parlare del manifesto “Messaggio all’intero popolo tedesco”. Quando è uscito online? Lo stato non avrebbe potuto intervenire rapidamente? Perché non gli è stata perquisita la casa dopo la pubblicazione del suo trattato basato su fantasie di sterminio razzista e fascista?
Per noi, tutto questo costituisce un quadro in cui sarebbe stato possibile per molti aspetti fermare il colpevole in anticipo. E su questo quadro attualmente sta lavorando il nostro gruppo di ricerca. Per confrontare le autorità con le relative domande. Cioè con la domanda centrale: „Si potevano evitare gli omicidi?“ Questa è la domanda centrale che riguarda i parenti. Chi ha fallito dove? Qualcuno dovrà assumersi la responsabilità del fallimento.
Questo è di fondamentale importanza. Perché tutti i parenti dicono che per loro non poteva andare peggio che dover seppellire i propri figli. Ma cosa possono fare per evitare che questo accada di nuovo? Da qui le domande: come è potuto succedere? Perché non è stato possibile prevenire? È qui che i parenti continuano ad fare domande e esigere risposte. In modo sempre più pressante e articolato.
Heiko: Quindi la richiesta alle autorità di ricostruire completamente la dinamica del crimine in modo che non ci siano più quei „punti oscuri“, che lasciano i famigliari nella dolorosa confusione di chi non sa nulla. E la richiesta di determinare fino a che punto l’omicida avrebbe potuto essere fermato prima di compiere il crimine, in modo da poterne trarre un insegnamento per il futuro … Quali altre richieste fanno i parenti?
Seda: I parenti vogliono che lo stato agisca e chiarisca il massacro e il suo contesto. Vogliono che le autorità finalmente prendano sul serio la morte dei loro figli, che prendano sul serio i parenti stessi e il loro dolore, che prendano sul serio il razzismo in questo paese e che facciano qualcosa al riguardo. Sfortunatamente, al momento non sembra così. E ovviamente questo aumenta il dolore, la frustrazione e la rabbia. È proprio questo non essere presi sul serio che turba i sentimenti.
Hagen: Per chiarire ancora questo fallimento ufficiale: nel luglio 2019 c’è stato un attacco razzista a un uomo dell’Eritrea a Wächtersbach, qui nel distretto di Main-Kinzig. L’uomo di 26 anni è stato colpito allo stomaco da un’auto di passaggio. L’omicida era un uomo che aveva preso le sue armi attraverso un’associazione di tiro al bersaglio. Aveva annunciato le strage nella birreria che abitualmente frequentava, dove pare non sia stato preso sul serio. Poi l’uomo è uscito, ha cercato un uomo di colore e gli ha sparato. Dopo di questo l’omicida 55enne si è suicidato. Era a luglio dell’anno scorso. E ora sarebbe lecito aspettarci dalle autorità competenti nel nostro distretto di Main-Kinzig una riflessione su come è possibile che qualcuno che commette un omicidio razzista possa ottenere un porto d’armi e diverse armi legali. Invece ci tocca vedere che sì, può ottenere di nuovo il porto d’armi, dalla stessa autorità, ed estenderlo a un porto d’armi da fuoco europeo. Quanto sono seri allora i controlli di affidabilità e la prova della necessità per un porto d’armi da fuoco? Qui sorge la domanda quali sono i criteri adottati? Cosa è che non va nelle autorità? Oppure sono le leggi fatte in modo tale che i razzisti possano acquistare e tenere legalmente delle armi? Non si vede neanche un accenno al fatto che questi pre-eventi del massacro di Hanau abbiano delle conseguenze. E quindi la richiesta è: disarmare i razzisti. Disarmare i nazisti. Ci vuole un dibattito. A quali condizioni in Germania viene data l’autorizzazione a portare armi? La si da a quelli che vengono addestrati nelle associazioni di tiro? Deve assolutamente succedere qualcosa in proposito.
Heiko: Vorrei tornare alla situazione dei famigliari. Molte persone sono colpite da perdita, dolore e paura per via dei numerosi omicidi. Membri della famiglia, amici, conoscenti e testimoni oculari. In che misura ottengono aiuto nella vita quotidiana e supporto psicologico dalle autorità?
Seda: Da una parte si pagano aiuti economici immediati ai parenti. Ma quando per il finanziamento dell’assistenza a lungo termine stiamo ancora lottando. Dovrebbe essere ovvio che le vittime di un violento attacco razzista in questo paese abbiano sicurezza economica. Ma non è così.
Per quanto riguarda le cure psicologiche, al momento è difficile trovare psicoterapeuti. Da un lato questo si deve al fatto che la maggior parte dei terapeuti al momento assegna solo sessioni video e nessun appuntamento faccia a faccia. Molti parenti però non vogliono questo tipo di conversazione online. E spesso non se la cavano bene con le tecnologie necessarie.
Molti giovani sono arrabbiati con le autorità anche per la chiusura del centro sociale JuZ a Kesselstadt. Le restrizioni per la pandemia Corona sono state gradualmente tolte. Ma questo sembra valere solo per i settori dell’economia. Quelli sono considerati rilevanti. Ma non i luoghi di incontro sociale. E il JuZ era il punto d’incontro per i giovani, una seconda casa per le vittime dell’attacco e tutti i loro amici e conoscenti. Lì era iniziata, poco dopo il 19 febbraio, la terapia di gruppo per i giovani interessati, ma con le misure per il Corona è stata immediatamente interrotta dopo la prima o seconda seduta. E delle videoconferenze offerte in sostituzione nessuno dei giovani sapeva che farsene. Ci sono parecchie domande sul perché i parrucchieri possano aprire ora, ma importanti punti di incontro rimangano chiusi.
Da parte delle autorità … beh, conosco una donna che non si trova bene con la terapeuta che le hanno assegnato. Ma se la rifiutasse, dovrebbe cercare una nuova terapeuta lei stessa, in queste circostanze difficili. Non è questo il modo per aiutare le persone traumatizzate da un massacro. È abbastanza difficile al momento trovare un’adeguata assistenza psicologica per le persone colpite.
Hagen: Direi che queste offerte istituzionali sono piuttosto ambivalenti. Questa assistenza immediata alle vittime è stata introdotta per la prima volta dopo il tentativo di assassinio di Breitscheid Platz. È giusto dare ai genitori 30.000 euro e ai fratelli 15.000. Ma questo per le famiglie è stato appena sufficiente per finanziare i funerali e le cose più urgenti. Non è certo una sicurezza permanente. Soprattutto quando le persone traumatizzate non sono più in grado di lavorare, di svolgere la loro professione. Ci si chiede come dovrebbero tirare avanti. In alcuni casi c’è stato un aiuto rapido e non burocratico per trovare nuove case. Perché non potevano o non volevano più vivere dove avevano vissuti con i loro familiari uccisi. Ma ci sono anche casi in cui questo non è avvenuto. Dove un padre deve ancora vivere nel suo appartamento a 50 metri dal luogo della strage, perché evidentemente non è stato trovato nulla per lui. Circa 10 giorni fa, il supporto finanziario per i famigliari è stato tematizzato nei nostri media locali. La notizia parlava di 1 milione di euro di aiuti di emergenza, versati ai famigliari. Cioè sembrava che ogni famiglia avesse ricevuto 1 milione di euro. Ma non è affatto così. Si tratta di circa 60 persone che secondo i criteri del centro competente avevano il diritto di consulenza per i famigliari. La somma stanziata è stata divisa tra loro. Ci sono però molti sopravvissuti che erano nei bar al momento dell’attacco e solo per un caso di fortuna non sono stati colpiti, sono sopravvissuti. O altri che hanno vissuto gli a fior di pelle. Queste persone non sono state considerate. Non è che tutti i coinvolti ricevono aiuti economici. Poi c’è il problema dell’auto-rappresentazione delle autorità. Quando siamo stati al parlamento regionale di Wiesbaden per ascoltare il rapporto del ministro dell’interno del Hessen, Beuth, questo rapporto per i parenti suonava come una grande presa in giro. Beuth era pieno di elogi per i servizi di emergenza. Come se tutto fosse andato al meglio, dall’immediato intervento della polizia fino al servizio di soccorso. È stato presentata al parlamento una bellissima immagine di come le autorità si sarebbero prese cura delle persone colpite. Questo naturalmente è in netto contrasto con quanto le persone colpite raccontano di quella notte e dei giorni successivi.
Parlando in generale: ci sono stati degli aiuti occasionali risultati efficaci. Ma nel complesso c’è stata mancanza di aiuto da molte parti. E gli effetti della pandemia Corona hanno portato al colmo del negativo nel caso della cura psicologica dei traumatizzati, completamente inadeguata. Da non dimenticare poi la completa mancanza di sensibilità. Basta ricordare la storia dell’autopsia da incubo, che ho già raccontata.
Oppure il caso di un’azione di polizia contro i famigliari sotto forma di un discorso sulle persone a rischio. Banalizzando, potremmo chiamarlo anche un infelice tentativo di stabilire un contatto. Il padre dell’omicida era sopravvissuto agli eventi nella sua casa. Ora figura ufficialmente come testimone, ma non è disposto a deporre. Dopo qualche settimana è tornato casa, che si trova nelle immediate vicinanze del secondo luogo della strage e anche delle case di alcune famiglie delle vittime. Allora la polizia probabilmente ha pensato che fosse una buona idea informare le famiglie delle vittime. Però l’ha fatto nel modo in cui nella prassi della polizia ci si rivolge ai cosiddetti „persone a rischio criminale“: cioè avvertire, fino alla minaccia, di lasciare assolutamente in pace questo padre dell’assassino, di convincere gli altri vicini di non attaccare quell’uomo. ecc. Così le vittime venivano trasformate in potenziali assassini. Qui siamo lontani da ogni sensibilità. E non si può certo parlare di un approccio alle vittime ben formato e professionale. Certamente era sensato e giusto informare le famiglie. Ma i modi… sono disperanti. In questo contesto sentire il quadro idilliaco dipinto dal ministro ha fatto venire l’amaro in bocca ai famigliari. Hanno buoni motivi per criticare fortemente questo trattamento nei confronti loro e delle loro situazione.
Heiko: Grazie per questi approfondimenti. Sul vostro sito web si legge che volete gestire questo progetto, questo locale per tre anni. È corretto?
Seda: almeno tre anni.
Hagen: Al momento stiamo già pensando a come dovrebbe andare avanti. Ma decideremo tra un anno se vogliamo andare avanti per cinque o più anni. Però già adesso stiamo pensando a queste opzioni. Attualmente la prospettiva è di tre anni.
Heiko: Un’impresa costosa. Soltanto l’affitto dei locali costa 2500 euro al mese. Credete di poter affrontare questi e altri costi correnti?
Seda: Abbiamo ricevuto molte donazioni sin dall’apertura all’inizio di maggio. Tante da avere già i soldi per l’affitto del primo anno. Le donazioni ovviamente caleranno. E allora dovremo essere creativi nelle prossime campagne di donazione. La nostra massima priorità anche qui è rimanere indipendenti. Per ora andiamo avanti a piccoli passi.
Heiko: Di questo progetto fanno parte le manifestazioni ricorrenti ogni 19 del mese?
Seda: Esatto. Ogni 19 del mese organizziamo un’azione di memoria. Curiamo insieme le corone, i fiori, le candele e le foto sui luoghi della strage e vicino al monumento di Grimm sulla piazza mercato. Deponiamo lì degli oggetti e delle lettere che riceviamo. E ricordiamo in silenzio i nove assassinati. A causa delle restrizioni per Corona, questo nelle ultime settimane ha sempre avuto luogo su scala ridotta, diciamo in una dimensione molto familiare, privata e tranquilla. Ora stiamo discutendo insieme alle famiglie su possibili altre forme di commemorazione e di ricordo. Così come questo spazio qui, anche la realizzazione dei questi giorni della memoria è un processo continuo. Tutti possono partecipare, esprimere i loro desideri, le loro idee. Per esempio poco fa c’è stato il compleanno di Sedat Gürbüz, che è stato ucciso qui di fronte al bar “Shisa-Lounge Midnight“. Insieme alla famiglia e agli amici, abbiamo ricordato lui sul primo luogo della strage. Cerchiamo di raccogliere e di attuare nuove idee, nuovi desideri e bisogni. Ma la pandemia Corona ha smorzato molte attività.
Hagen: Dunque, non abbiamo ancora un programma ufficiale per questo locale. Però un primo evento qui dentro c’è già stato. Un rappresentante dell’iniziativa “Keupstrasse” di Köln, Kutlu Yurtseven, è venuto qui per raccontare le esperienze della loro iniziativa. È stato un piccolo incontro, perché ovviamente siamo limitati a causa del Corona e non possiamo fare grandi inviti. Ma abbiamo in programma di invitare intorno al 19 di ogni mese rappresentanti di un’iniziativa esistente sul territorio nazionale, per farci raccontare le loro esperienze. Vogliamo utilizzare lo spazio anche per metterci sempre più in rete sul piano nazionale. Abbiamo parecchie idee su possibili eventi, mostre, presentazioni di film e incontri. Ma ovviamente tutto questo dipende anche dalle aperture che il percorso della pandemia consente.
Un’altra idea, ancora molto vaga, è quella di orientarci qui a Hanau al concetto dell’iniziativa anti-NSU. Perché qui a Hanau, essendo morto l’autore della strage, non ci sarà un processo, non ci sarà elaborazione legale. Possiamo presumere che il governo regionale vorrà chiudere presto i fascicoli e togliere tutto dal tavolo con un rapporto finale. Con un’iniziativa come quella anti-NSU si potrebbe affrontare la catena del fallimento ufficiale, l’atteggiamento ignorante delle autorità nei confronti delle vittime della violenza razzista, il razzismo all’interno delle autorità e molto altro. Lo si potrebbe inserire in un quadro nazionale e forse anche accompagnare da una grande manifestazione sul tema. Pensiamo di fare questo forse in autunno.
Heiko: Allora auguro tanto successo a voi e al vostro progetto. E grazie per questa intervista.
Übersetzung: Prof. Jörg Senf